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NUOTO – L’evoluzione del nuoto in Italia

from www.repubblica.it

Dal pallone alla piscina
l’Italia ha imparato a nuotare

Oggi si chiamano Pellegrini e Filippi, subito prima Rosolino e Fioravanti. Ma la prima generazione di grandi nuotatori azzurri è quella di Giorgio Lamberti. Agli Europei di Bonn, 1989, piovono medaglie: ecco la spiegazione, anche sociologica, del boom. Com’è lontana la Calligaris… di EMANUELA AUDISIO

Ieri era la Calligaris, oggi è Lamberti. Dal ’73 a oggi sono passati sedici anni: l’Italia continua a galleggiare, ma in maniera diversa. Di strano e di nuovo c’è molto: innanzitutto i nostri 7.500 chilometri di costa hanno subito lesioni permanenti, non si nuota più dove capita, così per caso, ma sempre per scelta e quasi mai nel mare sotto casa. L’inquinamento, le alghe, gli scarichi selvaggi hanno dirottato sempre più gente verso le piscine, una volta considerate “americanate” per miliardari. E il campione si sa viene sempre dall’acqua artificiale.

Se la generazione della Calligaris scendeva in acqua per eliminare gravi difetti fisici e doveva svegliarsi alle cinque di mattina per trovare una piscina aperta, quasi sempre fredda, quella di Lamberti e Battistelli ha cominciato con minor sofferenza e con sacarsa rabbia. Per chi è nato prima del ’60 il rapporto con l’acqua resta un fatto spesso traumatico. Non a caso l’eroe più moderno, ma anche più antico dell’Italia, Reinhold Messner, non sa nuotare.

E non a caso un’inchiesta del 1983 stabiliva che in Italia soltanto il 35,5 per cento della popolazione sapeva almeno tenersi a galla. Per il resto del paese l’acqua era un nemico da evitare, senza combattere. L’indagine appurava che in 33 anni l’Italia era andata a fondo ed il numero delle persone capaci di nuotare era incredibilmente diminuito. Chiamati a raccolta gli psicologi spiegavano che si trattava di un complesso: molto italiano, molto legato ai primi anni di vita e alla paura delle madri. Inoltre erano anni in cui chi insegnava in piscina seguiva in tutto e per tutto le leggi provenienti dai santuari californiani.

Leggi semplici, obbedienti al credo: torchiate l’infanzia prima che cresca e prima che si renda conto di quello che patisce. Gli Stati Uniti in acqua stavano perdendo il confronto con i paesi dell’Est e non sapendo più, a fine guerra fredda, come motivare i grandi, si buttavano sul più comodo mercato dei bambini. I piccoli obbediscono con più facilità, non fanno domande e alla fine ringraziano anche. Nell’Italia che si stava appena aprendo al fenomeno sportivo la moda americana fece rivestire subito parecchi giovani.

La nuova generazione che finalmente scendeva in acqua senza paura, senza grandi difetti fisici da risistemare, e in piscine più facili da trovare, veniva costretta dagli allenatori a non risalire più. Vasche su vasche, pesi, allenamenti estenuanti, di mattina e di sera, senza il minimo sorriso o la minima compagnia, perché il nuoto si sa è alienante: c’ è la striscia sotto da vedere e basta, quella ti dice che ore sono e quanto manca alla tua fatica. Una volta interrogati, gli adolescenti cadevano dalle nuvole: perché chiamarlo gioco o sport? Per loro la piscina era un lavoro. Alla fine della cura chi non diventava un campione ansioso o nevrotico tornava a casa minacciando un ozio continuo e prolungato. Intanto le piscine in Italia aumentavano con la stessa velocità del cemento nelle metropoli. La difficoltà di spostamento, la crisi della famiglia, ha fatto crescere un’architettura più indipendente e più autosufficiente: in molti condomini la piscina non è più un optional, ma una necessità da gente comune, soprattutto ora che il mare è in agonia.
E in molti casi i ragazzi e le ragazze vanno in piscina e
in acqua da soli. Senza controllo dei genitori, che tra l’altro ora non sarebbero all’altezza. I centri Coni del nuoto praticatissimi dall’infanzia e molto consigliati dai medici per l’armonia che garantiscono allo sviluppo, hanno reso la gioventù non solo più praticante, ma anche più brava. In quasi tutti gli stili. Sedurre in piscina non si può più: a meno di non essere capaci di abbinare crawl, dorso, rana e delfino a un doppio carpiato. I dati Istat sullo sport rivelano che nell’85 oltre un milione e mezzo di italiani, vale a dire il 10,7 per cento degli sportivi totale, ha scelto di praticare il nuoto. Niente male per una Repubblica fondata sul calcio come la nostra. Ma il fenomeno Lamberti non sarebbe stato possibile senza i pentimenti della scuola americana e una maggiore apertura alla scienza. Da oltreoceano è arrivata infatti un’altra lezione: buttateli in acqua da piccoli, ma tirateli fuori quando sono stanchi, non spremeteli troppo e dategli orizzonti che abbiano un sapore anche a vent’ anni. L’età di Lamberti, appunto. Orizzonti che non scompaiano alla prima o seconda sconfitta.

L’altra novità è arrivata nel tipo di selezione. Il nuoto si basa non su caratteristiche psicologiche, ma su certi particolari requisiti fisici. Esiste un test che stabilisce l’acquaticità dello scheletro, il suo grado di galleggiamento, il resto potrà venire, potrà essere costruito, ma questo primo importantissimo elemento no. Non basta più l’apparenza (alto e muscoloso), bisogna essere. Per questo Lamberti è l’onda lunga di un’Italia strampalata, ma nuova, e promette una nuova frontiera. A patto di non affogarla con la solita maledetta fretta.

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